Pagina:Metastasio, Pietro – Opere, Vol. I, 1912 – BEIC 1883676.djvu/258

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252 iv - ezio


che da’ principi suoi
l’alma ha l’idea di ciò che nuoce o giova,
mel dicesti; io lo sento; ognun lo prova.
E, se vuoi dirmi il ver, tu stesso, o padre,
quando togliermi tenti
l’orror d’un tradimento, orror ne senti.
Ah! se cara io ti sono,
pensa alla gloria tua, pensa che vai...
Massimo. Taci, importuna. Io t’ho sofferto assai.
Non dar consigli, o, consigliar se brami,
le tue pari consiglia.
Rammenta ch’io son padre e tu sei figlia.
          Fulvia. Caro padre, a me non déi
     rammentar che padre sei:
     io lo so; ma in questi accenti
     non ritrovo il genitor.
          Non son io chi ti consiglia:
     è il rispetto d’un regnante,
     è l’affetto d’una figlia,
     è il rimorso del tuo cor. (parte)

SCENA V

Massimo solo.

Che sventura è la mia! Cosí ripiena
di malvagi è la terra; e, quando poi
un malvagio vogl’io, son tutti eroi.
Un oltraggiato amore
d’Ezio gli sdegni ad irritar non basta.
La figlia mi contrasta... Eh! di riguardi
tempo non è. Precipitare omai
il colpo converrá: troppo parlai.
Pria che sorga l’aurora,
mora Cesare, mora! Emilio il braccio