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200 iii - catone in utica


vedi Scevola all’ara, Orazio al ponte,
e di Cremera all’acque,
di sangue e di sudor bagnati e tinti,
trecento Fabi in un sol giorno estinti.
Cesare. Se allor giovò di questi,
nuocerebbe alla patria or la mia morte.
Catone. Per qual ragione?
Cesare.  È necessario a Roma
che un sol comandi.
Catone.  È necessario a lei
ch’egualmente ciascun comandi e serva.
Cesare. E la pubblica cura
tu credi piú sicura in mano a tanti,
discordi negli affetti e ne’ pareri?
Meglio il voler d’un solo
regola sempre altrui. Solo fra’ numi
Giove il tutto dal ciel governa e move.
Catone. Dov’è costui che rassomigli a Giove?
Io non lo veggo; e, se vi fosse ancora,
diverrebbe tiranno in un momento.
Cesare. Chi non ne soffre un sol, ne soffre cento.
Catone. Cosí parla un nemico
della patria e del giusto. Intesi assai:
basta cosí. (s’alza)
Cesare.  Ferma, Catone.
Catone.  È vano
quanto puoi dirmi.
Cesare.  Un sol momento aspetta:
altre offerte io farò.
Catone.  Parla, e t’affretta. (torna a sedere)
Cesare. (Quanto sopporto!) Il combattuto acquisto
dell’impero del mondo, il tardo frutto
de’ miei sudori e de’ perigli miei,
se meco in pace sei,
dividerò con te.
Catone.  Sí, perché poi