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286 | iv - ezio |
sí, ma quel core è mio;
(a Valentiniano, accennando Fulvia)
sí, ma tu cedi a me.
Caro mio bene, addio.
Perdona a chi ti adora:
so che t’offesi, allora
ch’io dubitai di te. (parte con le guardie)
SCENA XIV
Valentiniano, Massimo e Fulvia.
Valentiniano. Ingratissima donna, e quando mai
io da te meritai questa mercede?
Vedi, amico, qual fede
la tua figlia mi serba?
Massimo. Indegna! e dove
imparasti a tradir? Cosí del padre
la fedeltade imiti? E quando avesti
questi esempi da me?
Fulvia. Lasciami in pace,
padre; non irritarmi: è sciolto il freno.
Se m’insulti, dirò...
Massimo. Taci, o il tuo sangue...
Valentiniano. Massimo, ferma. Io meglio
vendicarmi saprò. Giacché m’abborre,
giacché le sono odioso,
voglio per tormentarla esserle sposo.
Fulvia. Non lo sperar.
Valentiniano. Ch’io non lo speri? Infida!
Non sai quanto potrò...
Fulvia. Potrai svenarmi;
ma per farmi temer debole or sei.
Han vinto ogni timore i mali miei.