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396 v - alessandro nell'indie

SCENA VIII [VI]

Poro, poi Gandarte.

Poro. Ecco spezzato il solo
debolissimo filo a cui s’attenne
finor la mia speranza. A che mi giova
piú questa vita? abbandonato e privo
della sposa e del regno, in odio al cielo,
grave a me stesso, ad ogn’istante esposto
di fortuna a soffrir gli scherni e l’ire?
Ah, finisca una volta il mio martíre.
 (entrando, s’incontra in Gandarte)
Gandarte. Mio re, tu vivi?
Poro.  Amico,
posso della tua fede
assicurarmi ancor?
Gandarte.  Qual colpa mia
tal dubbio meritò?
Poro.  Gandarte, è tempo
di darmene un gran pegno. Il brando stringi:
ferisci questo sen. Da tante morti
libera il tuo sovrano,
e togli quest’uffizio alla sua mano.
Gandarte. Ah! signor...
Poro.  Tu vacilli? Il tuo pallore
timido ti palesa. Ah! fin ad ora
di tal viltá non ti credei capace.
Gandarte. Agghiacciai, lo confesso,
al comando crudel. Ma, giacché vuoi,
il cenno eseguirò. (snuda la spada)
Poro.  Che tardi?
Gandarte.  Oh Dio!
esposto al regio sguardo,
il rispettoso cor palpita e trema.
Ah! se vuoi sí gran prove,
volgi, mio re, volgi il tuo ciglio altrove.