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Vedilo, e dimmi poi
se gli africani eroi
tanta virtú nel seno
ebbero mai. (parte)
SCENA XII [IX]
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Selene. Ah! generoso Enea,
non fidarti cosí; d’Osmida ancora
all’amistá tu credi, e pur t’inganna.
Enea. Lo so: ma come Osmida
non serba Araspe in seno anima infida.
Selene. Sia qual ei vuole Araspe, or non è tempo
. . . . . . . . . . . . . . . . .
Selene. È Didone che parla, e non Selene.
Se non l’ascolti almeno,
tu sei troppo inumano.
Enea. L’ascolterò, ma l’ascoltarla è vano.
Non cede all’austro irato,
né teme, allor che freme
il turbine sdegnato,
quel monte che sublime
le cime innalza al ciel.
Costante, ad ogni oltraggio
sempre la fronte avvezza,
disprezza il caldo raggio,
non cura il freddo gel. (parte)
SCENA XIII [X]
Selene sola.
Chi udí, chi vide mai
del mio piú strano amor sorte piú ria!
Taccio la fiamma mia,
e, vicina al mio bene,
so scoprirgli le altrui, non le mie pene.