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atto primo 99


non simuli fierezza, e che in segreto
pietoso il genitore
forse non disapprovi il suo rigore?
Arbace. Potea senza oltraggiarmi
negarti a me; ma non dovea da lui
discacciarmi cosí, come s’io fossi
un rifiuto del volgo, e dirmi vile,
temerario chiamarmi. Ah! principessa,
questo disprezzo io sento
nel piú vivo del cor. Se gli avi miei
non distinse un diadema, in fronte almeno
lo sostennero a’ suoi. Se in queste vene
non scorre un regio sangue, ebbi valore
di serbarlo al suo figlio. I suoi produca,
non i merti degli avi. Il nascer grande
è caso e non virtú; ché, se ragione
regolasse i natali e desse i regni
solo a colui ch’è di regnar capace,
forse Arbace era Serse, e Serse Arbace.
Mandane. Con piú rispetto, in faccia a chi t’adora,
parla del genitor.
Arbace.  Ma, quando soffro
un’ingiuria si grande, e che m’è tolta
la libertá d’un innocente affetto,
se non fo che lagnarmi, ho gran rispetto.
Mandane. Perdonami: io comincio
a dubitar dell’amor tuo. Tant’ira
mi desta a meraviglia.
Non spero che ’l tuo core,
odiando il genitore, ami la figlia.
Arbace. Ma quest’odio, o Mandane,
è argomento d’amor. Troppo mi sdegno,
perché troppo t’adoro, e perché penso
che, costretto a lasciarti,
forse mai piú ti rivedrò; che questa
fors’è l’ultima volta... Oh Dio, tu piangi!