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atto primo 111


Artabano. Ma il nome?
Semira. Ognun lo tace:
abbassa ognuno a mie richieste il ciglio.
Mandane. (Ah! forse è Arbace.)
Artabano. (È prigioniero il figlio!)
Artaserse. Dunque un empio son io! Dunque Artaserse
salir dovrá sul trono
d’un innocente sangue ancora immondo,
orribile alla Persia, in odio al mondo!
Semira. Forse Dario morí?
Artaserse. Morí, Semira.
Lo scellerato cenno
uscí da’ labbri miei. Finch’io respiri,
piú pace non avrò. Del mio rimorso
la voce ognor mi sonerá nel core.
Vedrò del genitore,
del germano vedrò l’ombre sdegnate
i miei torbidi giorni, i sonni miei
funestar minacciando; e l’inquiete
furie vendicatrici in ogni loco
agitarmi sugli occhi,
in pena, oh Dio! della fraterna offesa,
la nera face in Flegetonte accesa.
Mandane. Troppo eccede, Artaserse, il tuo dolore:
l’involontario errore
o non è colpa o è lieve.
Semira. Abbia il tuo sdegno
un oggetto piú giusto: in faccia al mondo
giustifica te stesso
colla strage del reo.
Artaserse. Dov’è l’indegno?
Conducetelo a me.
Artabano. Del prigioniero
vado l’arrivo ad affrettar. (in atto di partire)
Artaserse. T’arresta:
Artabano, Semira,