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212 viii - adriano in siria


Sabina.   No, non lo sai:

odi. Troppo fatali
son le nostre ferite. Uno di noi
dee morirne d’affanno: io, se ti perdo;
tu, se perdi Emirena. Ah! non sia vero
che, per salvar d’inutil donna i giorni,
perisca un tale eroe. Sérbati, o caro,
alla tua gloria, alla tua patria, al mondo,
se non a me. D’ogni dover ti sciolgo,
ti perdono ogni offesa;
ed io stessa sarò la tua difesa.
Adriano. Come! (stupido)
Sabina.   Cesare, addio. (in atto di partire)
Adriano. (arrestandola)  Férmati. Oh grande!
oh generosa! oh degna
di mille imperi! Ah, quale eccesso è questo
d’inudita virtú! Tutti volete
dunque farmi arrossir? Fedel vassallo,
tu la sposa mi cedi (a Farnaspe)
a favor del tuo re! Figlia pietosa,
sacrifichi te stessa (ad Emirena)
tu per il padre tuo! Tradita amante, (a Sabina)
non pensi tu che al mio riposo! Ed io,
io sol fra tanti forti
il debole sarò? Né mi nascondo
per vergogna a’ viventi? E siedo in trono?
E do leggi alla terra? Ah! no. Facciamo
tutti felici. Al re de’ parti io dono
e regno e libertá; rendo a Farnaspe
la sua bella Emirena; Aquilio assolvo
d’ogni fallo commesso;
e a te, degno di te, rendo me stesso. (a Sabina)
Farnaspe. Oh contento improvviso!
Sabina. Ecco il vero Adriano: or lo ravviso.
Emirena. Finch’io respiri, Augusto,
grata quest’alma a’ benefizi tuoi...