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184 xiii - la clemenza di tito


Publio. Pur troppo ei di sua bocca

tutto affermò. Coi complici il senato
alle fiere il condanna. Ecco il decreto
terribile, ma giusto; (dá il foglio a Tito)
né vi manca, o signor, che il nome augusto.
Tito. Onnipotenti dèi! (si getta a sedere)
Annio. Ah! pietoso monarca... (inginocchiandosi)
Tito.   Annio, per ora
lasciami in pace. (Annio si leva)
Publio.   Alla gran pompa unite
sai che le genti ormai...
Tito.   Lo so. Partite.
  (Publio si ritira)
Annio.   Pietá, signor, di lui!
          So che il rigore è giusto;
          ma norma i falli altrui
          non son del tuo rigor.
               Se a’ prieghi miei non vuoi,
          se all’error suo non puoi,
          donalo al cor d’Augusto,
          donalo a te, signor. (parte)

SCENA IV

Tito solo a sedere.

Che orror! che tradimento!

che nera infedeltá! Fingersi amico,
essermi sempre al fianco, ogni momento
esiger dal mio core
qualche prova d’amore; e starmi intanto
preparando la morte! Ed io sospendo
ancor la pena? e la sentenza ancora
non segno?... Ah! sí, lo scellerato mora.
  (prende la penna per sottoscrivere, e poi s’arresta)