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148 | xviii - attilio regolo |
SCENA II
Regolo, poi Manlio.
che vacillino i padri. Ah! voi, di Roma
deitá protettrici, a lor piú degni
sensi inspirate.
Manlio. A custodir l’ingresso
rimangano i littori, e alcun non osi
qui penetrar.
Regolo. (Manlio! a che viene?)
Manlio. Ah! lascia
che al sen ti stringa, invitto eroe.
Regolo. Che tenti!
Un console...
Manlio. Io nol sono,
Regolo, adesso: un uom son io, che adora
la tua virtú, la tua costanza; un grande
emulo tuo, che a dichiarar si viene
vinto da te; che, confessando ingiusto
l’avverso genio antico,
chiede l’onor di diventarti amico.
Regolo. Dell’alme generose
solito stil. Piú le abbattute piante
non urta il vento o le solleva. Io deggio
cosí nobile acquisto
alla mia servitú.
Manlio. Sí, questa appieno
qual tu sei mi scoperse, e mai sí grande,
com’or fra’ ceppi, io non ti vidi. A Roma
vincitor de’ nemici
spesso tornasti: or vincitor ritorni
di te, della fortuna. I lauri tuoi