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208 xix - antigono


d’un felice rivale.

Or di’: qual pena è alla mia pena uguale?
Berenice. Ma, Demetrio! (Ove son?) Credei... Dovresti...
Quell’ardir m’è si nuovo... (confusa)
(Sdegni miei, dove siete? Io non vi trovo.)
Demetrio. Pietá, mia bella fiamma: il caso mio
n’è degno assai. Lieto morrò, s’io deggio
a una man cosí cara il genitore.
Berenice. Basta. (E amar non degg’io sí amabil core!)
Demetrio. Ah! se insensibil meno
fossi per me; s’io nel tuo petto avessi
destar saputa una scintilla, a tante
preghiere mie...
Berenice. (tenera)  Dunque tu credi... Ah! prence
(Stelle! io mi perdo.)
Demetrio.   Almen finisci.
Berenice.   Oh dèi!
Va’: farò ciò che brami.
Demetrio.   E quel sospiro
che volle dir?
Berenice. (amorosa)  Nol so: so ch’io non posso
voler che il tuo volere.
Demetrio. (con trasporto)  Ah! nel tuo volto
veggo un lampo d’amor, bella mia face.
Berenice. Crudel, che vuoi da me? Lasciami in pace.
          Basta cosí; ti cedo:
     qual mi vorrai, son io;
     ma, per pietá lo chiedo,
     non dimandar perché.
          Tanto sul voler mio
     chi ti donò d’impero
     non osa il mio pensiero
     né men cercar fra sé. (parte)