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252 xx - ipermestra


Ipermestra. (Mi fa pietá.)

Danao.   (Nulla ei scoprí: respiro.)
Linceo. Deh! principessa amata,
se veder non mi vuoi
disperato morir, dimmi qual sia
almen la colpa mia.
Ipermestra.   (Potessi in parte
consolar l’infelice.)
Danao.   (In lei pavento
il troppo amor.)
Linceo.   Bella mia fiamma, ascolta.
Giuro a tutti gli dèi,
lo giuro a te, che sei
il mio nume maggior, nulla io commisi,
colpa io non ho. Se volontario errai,
voglio sugli occhi tuoi
con questo istesso acciar, con questa destra
voglio passarmi il cor.
Ipermestra. (a Linceo)  Prence...
Danao. (temendo che parli)  Ipermestra!
Ipermestra. Oh Dio!
Linceo.   Parla.
Danao.   Rammenta
il tuo dover.
Ipermestra.   (Che crudeltá! Non posso
né parlar né tacer.)
Linceo.   Né m’è concesso
di saper, mia speranza...
Ipermestra. Ma qual è la costanza, (con impeto)
che durar possa a questi assalti? Alfine
non ho di sasso il petto; e, s’io l’avessi,
al dolor che m’accora,
giá sarebbe spezzato un sasso ancora.
E che vi feci, o dèi? perché a mio danno
insolite inventate
sorte di pene? Ha il suo confin prescritto