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260 xx - ipermestra


di vederlo mai piú. Pensaci. Ogni atto,

ogni suo moto, ogni tuo passo, i vostri
pensieri istessi a me saran palesi:
ei morrá, se l’ascolti. Udisti?
Ipermestra.   Intesi.
Danao.   Non hai cor per un’impresa
     che il mio bene a te consiglia:
     hai costanza, ingrata figlia,
     per vedermi palpitar.
          Proverai da un padre amante
     se diverso è un re severo:
     giá che amor da te non spero,
     voglio farti almen tremar. (parte)

SCENA III

Ipermestra, poi Plistene.

Ipermestra. Nuova angustia per me. Come poss’io

evitar che lo sposo...
Plistene.   Ah! principessa,
pietá del tuo Linceo. Confuso, oppresso,
come or lo veggo, io non l’ho mai veduto.
Se tarda il tuo soccorso, egli è perduto.
Ipermestra. Ma che dice, o Plistene?
che fa? che pensa? il mio ritegno accusa?
m’odia? m’ama? mi crede
sventurata o infedel?
Plistene.   Tanto io non posso
dirti, Ipermestra. Or piú Linceo, qual era,
meco non è. Par che diffidi, e pare
che si turbi in vedermi: il suo dolore
forse sol n’è cagion. Deh! lo consola
or che a te vien.
Ipermestra. (con timore)  Dov’è?