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296 xxi - il re pastore


e si riposi; io n’ho grand’uopo. (siede)

  Oh, come
mi balza il cor! Non mi credea che tanto
affannasse un piacere... Eccolo... Ha scossi
alcun que’ rami... È il mio Melampo. Ah, questo
è un eterno aspettar! (s’alza) No, non poss’io
tranquilla in questa guisa
piú rimaner. (in atto di partire)
Aminta.   Dove t’affretti, Elisa?
Elisa. Ah, tornasti una volta! Andiamo.
Aminta.   E dove?
Elisa. Al genitor.
Aminta.   Dunque ei consente...
Elisa.   Il core
non m’ingannò: sarai mio sposo, e prima
che il sol tramonti. Impaziente il padre
n’è al par di noi. D’un cosí amabil figlio
superbo e lieto... Ei tel dirá. Vedrai
dall’accoglienze sue... Vieni.
Aminta.   Ah! ben mio,
lasciami respirar. Pietá d’un core
che fra le gioie estreme...
Elisa. Deh! non tardiam: respireremo insieme.
  (in atto di partire)

SCENA VII

Agenore, seguito da guardie reali e nobili di Sidone,
che portano sopra bacili d’oro le regie insegne, e detti.

Agenore. Dal piú fedel vassallo

il primo omaggio, eccelso re, ricevi.
Elisa. Che dice? (ad Aminta)
Aminta.   A chi favelli? (ad Agenore)
Agenore. A te, signor.