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atto secondo | 309 |
Alessandro. Sí, amico. Ah! con un sol diadema
di due bell’alme io la virtú corono.
Ei salirá sul trono,
senza ch’ella ne scenda; e a voi la pace,
la gloria al nome mio
rendo cosí: tutto assicuro.
Agenore. (Oh Dio!)
Alessandro. Tu impallidisci e taci!
Disapprovi il consiglio? È pur Tamiri...
Agenore. Degnissima del trono.
Alessandro. È un tal pensiero...
Agenore. Degnissimo di te.
Alessandro. Di quale affetto
quel tacer dunque è segno e quel pallore?
Agenore. Di piacer, di rispetto e di stupore.
Alessandro. Se vincendo — vi rendo felici,
se partendo — non lascio nemici,
che bel giorno fia questo per me!
De’ sudori, ch’io spargo pugnando,
non dimando — piú bella mercé. (parte)
SCENA VI
Agenore solo.
troppo, o numi inclementi,
trascendete i miei voti: io non chiedea
tanto da voi. Misero me! ti perdo,
bella Tamiri, e son cagione io stesso
della perdita mia. Folle ch’io fui!
Ben preveder dovea... Come! ti penti,
Agenore infelice,
d’un atto illustre? E tu sei quel che tanta