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Mentisca pure e finga
colei che m’arde il seno;
ché almeno mi lusinga,
che non mi toglie almeno
la libertá d’odiarla,
quando infedel mi fu. (parte)
SCENA XII [XI]
Alessandro con guardie dietro al padiglione e Timagene.
Alessandro. Non condannarmi, amico,
perché mesto mi vedi. Ha il mio dolore
la sua ragion.
Timagene. Quando il timor non sia
che manchi terra al tuo valore, ogni altra,
perdonami, è leggiera. E quale impresa
dubbia è per te, che hai tanto mondo oppresso
Alessandro. L’impresa, oh Dio! di soggiogar me stesso.
Timagene. Che intendo!
Alessandro. Alla tua fede
io svelo, o Timagene, il piú geloso
segreto del mio cor. Nol crederai:
ama Alessandro, e del suo cor trionfa
Cleofide giá vinta. Io non so dirti
se combatte per lei
il genio o la pietá. Senza difesa
so ben che mi trovai
nel momento primier ch’io la mirai.
Timagene. Ella viene.
Alessandro. Oh cimento!
Timagene. Eccoti in porto:
Cleofide è tua preda:
puoi domandarle amor.
Alessandro. Tolgan gli dèi
che vinca amor, che sia
la debolezza mia nota a costei.