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atto secondo 125


Megabise. Ecco il riparo.
Dividiamo i seguaci: assaliremo
nell’istesso momento,
tu il carcere, io la reggia.
Artabano. Ah, che divisi
siamo deboli entrambi!
Megabise. Ad un partito
convien pure appigliarsi.
Artabano. Il piú sicuro
è ’l non prenderne alcuno. Agio bisogna
a ricompor le sconcertate fila
della trama impedita.
Megabise. E se frattanto
Arbace si condanna?
Artabano. Il caso estremo
al piú pronto rimedio
risolver ne fará. Basta, per ora,
che a simular tu siegua e che de’ tuoi
mi conservi la fede. Io cauto intanto
a sedurre i custodi
m’applicherò. Non m’avvisai finora
d’abbisognarne; e reputai follia
moltiplicare i rischi
senza necessitá.
Megabise. Di me disponi
come piú vuoi.
Artabano. Deh! non tradirmi, amico.
Megabise. Io tradirti! Ah! signor, che mai dicesti?
Tanto ingrato mi credi? Io mi rammento
de’ miei bassi principi. Alla tua mano
deggio quanto possiedo: a’ primi gradi
dal fango popolar tu mi traesti.
Io tradirti! Ah! signor, che mai dicesti?
Artabano. È poco, o Megabise,
quanto feci per te. Vedrai s’io t’amo,
se m’arride il destin. So per Semira