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atto secondo 187


Adriano. (Io non posso

piú vederla penar. Troppo a quel pianto
mi sento intenerir.) Deh! ti consola,
bella Sabina. A’ lacci tuoi felici
tornerò: sarò tuo.
Aquilio.   (Stelle!)
Sabina. (guardandolo con tenerezza) Che dici?
Adriano. Che alla pietá giá cedo,
messaggiera d’Amore.
Sabina.   Ah! non lo credo.
Aquilio. (Qui bisogna un riparo.)
Sabina. S’Emirena una volta
torni a veder...
Adriano.   Non la vedrò.
Sabina.   Ma puoi
di te fidarti?
Adriano.   Ho risoluto, e tutto
si può quando si vuole.
Aquilio. (ad Adriano) A’ piedi tuoi
l’afflitta prigioniera
inchinarsi desia. Non ti ritrova,
e lung’ora ti cerca.
Sabina.   (Ecco la prova.)
Adriano. No, Aquilio: io piú non deggio
Emirena veder. Tempo una volta
è pur ch’io mi rammenti
la mia fida Sabina.
Sabina.   (Oh cari accenti!)
Aquilio. È giustizia, è dover. Ma che domanda
la povera Emirena? A lei si niega
quel che a tutti è concesso? È serva, è vero;
ma pur nacque regina.
Adriano. Veramente, Sabina,
par crudeltá non ascoltarla.
Sabina. (si turba) Oh Dio!
Adriano. L’udirò te presente:
che potresti temer? Resta, e vedrai...