Pagina:Milani - Risposta a Cattaneo, 1841.djvu/52

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Mi fu promesso cbe nessun conto d’avviso si divulgherebbe spendendo il nome mio; e la promessa fattami non mi si tenne.

E questa è la bella maturità a cui erano portate le cose alla fine dell’anno 1836, di cui parla il dottore Cattaneo alla pagina 13 della sua Rivista.

Essere sconveniente, non vera, non giusta la stampa 1.° settembre 1837 della sezione veneta della Direzione in ciò cbe si riferisce allo studio della linea e delle località — al ponte di Venezia — ai lavori d’arte fino allora fatti — all’incarico a me affidato.

La pubblicazione del progetto del signor Meduna essere, a detta della sezione veneta, una svista; l’appellativo d’ingegnere dei progetti di dettaglio una conseguenza dello scrivere del signor segretario Breganze, senza curarsi di ben conoscere prima il valore delle parole.

Quella pubblicazione del progetto Meduna, e quell’appellativo d’ingegnere dei progetti di dettaglio essere stati pubblicamente smentiti con le stampe per ordine della Direzione, e per la penna dello stesso dottore Cattaneo.

Quanto ha detto il dottore Cattaneo per concludere che il mio ponte di Venezia è una copia del progetto Meduna, essere un vergognoso tessuto di spropositi e di bugie.

Il mio ponte non aver di eguale al ponte Meduna che quello che hanno di eguale tra loro tutti i ponti del mondo di struttura murale — la forma delle piazzette, delle pile e degli archi.

La condotta del gas, l’acquidotto sotto i camminapiedi, ed il ponte girevole essere cose buone, approvate dagli uomini dell’arte, eseguibili da chiunque conosca bene il mestier suo.

Il suo ponte apposito per l’acquidotto, il faro a gas, e la stazione in un’isola di settanta mila metri quadrati da crearsi appositamente, perchè Venezia rimanga nel verginale isolamento in cui nacque esser cose belle da dirsi in ottava rima, ma non in prosa, e da non farsi poi mai.

Non temere io alcuna sorpresa per Venezia, nè ora, nè dopo la costruzione del ponte, ed averlo anche dimostrato: e quanto poi alla gloria da Orazio Coclite di difender Venezia al ponte girevole, che vorrebbe attribuirmi il dottore Cattaneo, restituirgliela intiera intiera, perchè io non vi ho mai aspirato, e non vi aspiro.



VI.


[pagine 16, 19, 41, 42.] L’istituzione dell’ufficio tecnico aver mancato di massime fondamentali, di norme uniformi. Non essersi mai concertato un regolamento che discutesse è guidasse nel merito e nell’ordine le operazioni. Gli ingegneri dell’ufficio tecnico esservi stati assunti come semplici commessi dell’ingegnere in capo. Molti esservi entrati ed usciti, e tra questi molti entrati ed usciti contarsi i migliori giovani che, allettati dalla bellezza e novità dell’impresa, offrivano il tributo dei loro studii e del loro zelo, ed alcuno l’esperienza dei lavori fatti sulle strade ferrate di Francia. Io non aver mai consultato gli ingegneri dell’ufficio tecnico, averli astretti a prestarmi la servitù della loro mano, e non