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Pagina:Mill - La liberta, Sonzogno, Milano.djvu/34

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34 la libertà

sona, uno straniero1, di fargli giustizia contro un ladro. Questo rifiuto di riparazione ebbe luogo in virtù della dottrina legale che una persona la quale non crede in Dio (non importa in qual Dio) e in una vita futura non può esser ammessa a prestare testimonianza in giudizio; ciò è quanto dichiarare che queste persone sono fuori della legge, private della protezione dei tribunali, e che non soltanto si può farne impunemente la vittima di furti o di vie di fatto, se esse non hanno altri testimoni che sè stessi o gente della loro opinione; ma che anche tutto il mondo deve subire di questi attentati, dal momento che la prova dipende unicamente dalla loro testimonianza. Questo é fondato sulla presunzione che il giuramento di una persona che non crede a una vita futura è senza valore; proposizione che mostra una ignoranza grande della storia in quelli che lo ammettono (poichè è storicamente provato che a tutte le epoche una grande quantità di miscredenti furono uomini di rara integrità ed onorabilità); e per sostener la quale bisognerebbe non sapere neppur lontanamente quante persone riputate nel mondo per le loro virtù e pel loro ingegno siano ben conosciute, almeno dai loro intimi amici, come non aventi alcuna credenza. Questa regola inoltre si distrugge da sè; sotto pretesto che gli atei debbono essere mentitori, essa ammette la testimonianza di tutti gli atei capaci di mentire, e rifiuta soltanto quelli che sfidano la disgrazia di confessare pubblicamente una opinione detestata piuttosto che affermare una menzogna.

Una regola che si abbatte così da sè, dal punto di vista dello scopo che si propone, non può essere mantenuta che come un tributo d’odio, un resto di persecuzione: con questa particolarità, che la ragione per incorrervi è la prova ben certa che non la si merita punto. Questa regola e la teoria ch’essa implica non sono meno offensive per i credenti che pei miscredenti; poichè se colui che non crede ad una vita futura è necessariamente un mentitore, naturalmente quelli che ci credono non sono trattenuti dal mentire — se pure lo sono — che dal timore dell’inferno. Noi non faremo agli autori e ai seguaci di questa regola l’ingiuria di supporre che l’idea ch’essi si sono formata della virtù cristiana sia tratta dalla loro propria coscienza.

In verità, questi non sono che dei lembi e dei resti di persecuzione e si può considerarli non come un indizio del desiderio di perseguitare, ma piuttosto come esempi di una infermità molto frequente negli spiriti inglesi, che fa provare ad essi un piacere assurdo ad affermare un cattivo

  1. Barone di Gleichem, corte di polizia di Marlborough-Street, 4 agosto 1857.