Pagina:Misteri di polizia - Niceforo, 1890.djvu/204

Da Wikisource.

191


CAPITOLO XXIV.

La Censura.

Non pigliava la via della censura che il pensiero inoffensivo, l’idea plasmata sul modello fornito dai governi stabiliti. Ciò che non poteva essere stampato e pubblicato all’ombra della Polizia, pigliava la via dei paesi retti a libertà. Laonde mentre i censori si distillavano il cervello a castrare gli scritti che si portavano al loro esame, a scrutare minutamente i concetti degli autori ed a pesare frasi e parole, i libri e gli scritti cosiddetti sovversivi, infischiandosi degli editti della Polizia, entravano clandestinamente in paese, importando quel veleno che i Governi credevano di tener lontano mercè le forbici e lo spegnitoio della censura. Si può dire, anzi, che le misure della Polizia non impedirono mai, come in altro luogo diremo, che un libro, per quanto si proclamasse pernicioso, entrasse e circolasse liberamente nei paesi, il cui pensiero s’imbavagliava mercè la censura.

Questa, peraltro, in Toscana, non esercitò il suo potere addormentatore che in modo assai prudente. A Firenze, per una lunga serie d’anni, essa fu esercitata da uno scolopio, il padre Mauro Bernardini, uomo di coltura estesa, d’idee qualche volta vaste, e di manica piuttosto larga, specie nelle materie economiche e politiche. Il suo Archivio — ora posseduto dall’Archivio di Stato di Firenze — è la dimostrazione di quanto scriviamo sul vecchio scolopio, mentre è un termometro dei criteri politici, letterari e religiosi che informarono per circa trent’anni la censura nella capitale dell’ex-Granducato. Codesti criteri, difatti, non s’inspiravano sempre a sfrenata libidine di evirazione intellettuale a paure ridicole, come spesso succedeva sotto la