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CAPITOLO III.

Le spie.

In questi ultimi tempi, dopo le meravigliose gesta dell’esercito germanico, la cavalleria è stata definita: l’occhio e l’orecchio dell’esercito.

Nè diversamente sapremmo definire le spie in un reggimento dispotico, ma con questa differenza: che mentre la cavalleria è l’occhio e l’orecchio d’un esercito in campagna, le spie sono l’occhio e l’orecchio, sopratutto l’orecchio, del capo della polizia.

La polizia si divideva, in Toscana, come probabilmente si divideva e si divide in tutti gli Stati, in polizia giudiziaria e in polizia politica. Quest’ultima, alla Presidenza del Buon Governo, assumeva pure il nome di polizia segreta, oppure quello di alta polizia.

La polizia segreta non si occupava esclusivamente d’affari politici. Questi formavano, naturalmente, la parte più delicata, più gelosa delle sue mansioni, ma abbracciava ugualmente molti altri servizî pubblici. Tutto ciò che riguardava le persone, il loro carattere, i loro precedenti, tutto ciò che era investigazione nell’interno delle famiglie, rientrava nelle sue attribuzioni.

Come si capisce, di codesto edificio, che avea per sua base il segreto e per fine lo studio dell’animo e della vita del cittadino, non poteva essere ministro — diremmo quasi sacerdote se non ci trattenesse il timore di profanare quest’ultima parola — che la spia. La spia era allora non una persona, ma un’istituzione. Gli uomini di Stato di quei tempi la consideravano come la chiave di volta del loro edificio politico. Il governo non limitava la sua sorveglianza alle azioni dei cittadini; la spingeva sopratutto a scandagliare