Pagina:Misteri di polizia - Niceforo, 1890.djvu/34

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governo dei preti forniva occasione a maligni e severi appunti non solo ai soliti malintenzionati, ma alle stesse autorità toscane nei loro rapporti col potere centrale.

Di queste relazioni, dovute a spie politiche, diamo qui un saggio.

Nel gennaio del 1825, il regio Vicario di Poppi informava il Buon Governo come un certo avvocato Pellegrini, di Forlì, si fosse offerto far sapere ai governanti della Toscana quanto avveniva in Romagna. Accettata l’offerta, il Pellegrini mandò lunghi e particolareggiati rapporti. In uno di questi riferiva come il governo pontificio, sotto la denominazione di carbonari o di liberali, comprendesse anche i malfattori comuni e confondesse con questi ogni amatore di libertà moderata e di reggimento civile; come le scuole, anche quelle che vivevano di rendite proprie, fossero tutte nelle mani del clero, e i frati si notassero pei loro costumi sozzi, di modo che più d’una volta si dovettero mettere a dormire processi scandalosissimi; come le curie vescovili anche in materia penale, procedessero con arbitrio e pubblico scandalo. Quanto ai matrimoni, si commettevano violenze inaudite: bastava che una fanciulla si denunziasse madre, perchè il presunto padre la sposasse. L’inquisizione, di fatto, era stata ristabilita. A Pesaro, un medico, era stato trattenuto due mesi in carcere per aver parlato contro la lettura di certi libri di devozione. I tribunali criminali, non avendo altra legge che gli editti degli eminentissimi Legati, si strascinavano fra la consuetudine e l’arbitrio. Le stesse nuove disposizioni legislative introdotte da Leone XII, contenevano temi d’ingiustizia: un parroco, per esempio, alla presenza di due testimoni, poteva ricevere il testamento d’un morente, anche dove c’erano notari.

Come abbiamo detto, anche alle stesse autorità toscane il governo del Papa ispirava disgusto e ribrezzo. Il Vicario di Poppi, nello spedire al Puccini, il 18 settembre 1825, la feroce sentenza pronunziata in quei giorni dal cardinale Rivarola, il sanguinario legato di Ravenna, e colla quale alcune centinaia di cittadini erano condannati, alcuni a morte, altri all’ergastolo, altri a pene minori, scriveva: „L’ordi-