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Il sole, la luna, le stelle. 79

ogni notte dal mostro tenebroso, rappresentato dai poeti vedici come un lupo rapace divoratore del gregge, tenga lontano dal gregge dell’uomo il lupo, intanto che gregge e pastori ritrovano, indicate dallo stesso Dio Pûshan, ossia dall’ultimo sole morente e pietoso, le loro dimore. «Con Pûshan, canta un inno vedico, possiamo noi trovare le dimore ch’egli ci prescrive; eccole, egli dica soltanto.» Ma qui questo Pûshan guidatore alle desiderate dimore, non appare soltanto un Dio pastore, ricco di capre e di cavalli, onde il suo nome di ag’âçva, che fu di poi spiegato pure quello «che ha per cavallo una capra»; come Pûshan spinge il proprio bestiame nelle stalle divine, così fa entrare il sole moribondo nella sede de’ beati; in tal figura egli si confonde col funebre e paradisiaco Dio Yama, che divenne più tardi un nume infernale, allo stesso modo che Çiva propriamente il felice, il beato, il Dio dei beati, diventò poi un Dio distruggitore, un Dio della morte, una specie di Dio de’ Dannati. Il primo sole che morì apparve, qual primo de’ mortali, qual primo de’ beati, quello che mostrò la via dei beati agli altri mortali. Così dall’idea pastorale del sole che riconduce alle stalle divine gli armenti, si passò ad immaginare quelle pecore celesti come anime le quali il nume Pûshan, che diviene in tal figura un vero ψυχοπομπός, accompagna alle loro sedi immortali nel largo splendido cielo lontano. Lo stesso Pûshan che, col suo stimolo, ridesta la preghiera, la meditazione vespertina de’ pii mortali, onde pure il suo appellativo di dhiyamginva, viene invocato in un inno fu-