Pagina:Monete dei romani pontefici avanti il mille.djvu/50

Da Wikisource.

41

conducessero quella città, la quale in quei secoli non poteva fiorire che come sede del capo del cattolicismo.

In quanto alla Respublica Romanorum abbiamo già veduto che tal parola non aveva più l’antico significato, e che ora prendevasi per la popolazione di Roma anche dipendente dalla Chiesa, ed il paragone tra popolo di S. Pietro con quello di S. Marco non può sussistere, nulla essendovi di comune, e stando troppa distanza di tempo tra quello e questo.

Quest’opinione, lasciata in dubbio dallo stesso suo autore, dicendo che il senato era soggetto al papa ed all’imperatore, fu pure toccata dal Vitale1, che però crede che la potenza senatoria solamente si sviluppasse nei secoli posteriori, nei quali non trovansi più esistere monete di papi.

Vengo ora all’altro autore, cioè al Le Blanc2, il quale cercò di provare che il dominio di Roma spettava intieramente agl’imperatori franchi, appoggiandosi perciò sulle monete stesse dei papi perchè portavano anche di quelli il nome.

Comincia dal dare come favola la donazione di Costantino, indi prova il supremo dominio che vi avevano i suoi successori, poi i re Goti, indi gli imperatori bizantini sino a Carlo Magno. In fine dice come Pipino e Carlo, battuti i Longobardi ed impadronitisi de’ loro stati, donarono alla Chiesa Ravenna e la Pentapoli. Qui sta il primo errore, che, come già abbiamo veduto, prima di Carlo il dominio bizantino più non esisteva in Roma, e ad esso era subentrata l’autorità papale e non già per usurpazione, ma stante la noncuranza e l’abbandono nella quale questa provincia era lasciata dai Greci e la calda difesa e protezione che ne presero i papi, onde erano da tutti riguardati come padri, ad essi soli i popoli, nelle invasioni dei Longobardi, indirizzandosi per essere difesi ed aiutati.

Nel capo IV poi vuol provare che Carlo ancora prima di essere imperatore era assoluto signore di questa città, e che in conseguenza vi esercitava una piena autorità, vi regolava gli affari della santa sede, e che era in diritto di confermare l’elezione dei pontefici senza aver avuto bisogno di privilegio alcuno secondo esso per parte di Adriano.

Al che si può opporre che nè Pipino, nè Carlo Magno prima di essere imperatori non pretesero mai avere alcun diritto sopra Roma, come si può vedere negli scrittori contemporanei, e quando Carlo vi amministrò la giustizia

  1. Vitale, Storia diplomatica de’ senatori di Roma. Ib., 1791. V. II, 4°
  2. Dissertation historique sur quelques monnaies de Charlemagne, de Louis Debonnaire, de Lotaire et de leurs successeurs frappées dans Rome. Amsterdam, 1692. 4°