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Pagina:Monete dei romani pontefici avanti il mille.djvu/52

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che nelle elezioni s’introducesse la simonia o le forzassero la potenza delle fazioni.

Lo stesso continua a trattare nel capo VI, indi riporta alcune monete di papi coi nomi anche degli imperatori Carolingi, soggiungendo che questi, oltre il far osservare in Roma le loro leggi, e di amministrare la giustizia, vollero anche che le monete fossero segnate col loro nome, come prima aveva detto che Carlo Magno ed i suoi successori a ciò obbligarono i papi quando loro diedero li stati che ora possedevano.

Quanto sia falso questo, lo prova l’esistenza delle monete d’Adriano, nelle quali il solo suo nome leggesi e lo stesso son certo debbasi trovare su quelle di Leone III anteriori all’801, quando venga fatto di scoprirne.

Omettendo di tenergli dietro nei capi VII ed VIII ne’ quali passa in rivista quanto può tornar utile al suo scopo nella vita di ciaschedun pontefice sino al secolo xii, ciò che vedremo di essi scrivendo, veniamo al capo IX ed ultimo della sua dissertazione, nel quale dice che due furono i patriziati di Carlo Magno, il primo da quando ne fu investito in compagnia del padre nel 754 sino al 774, ed il secondo da quest’anno, cioè quando si impossessò del regno de’ Longobardi, sino al suo impero.

In quanto al primo, abbiamo già veduto che finchè visse il padre fu esso che l’esercitò, e dopo la sua morte continuò egli esattamente ad usarne in nulla dal padre variando sino a che venne eletto imperatore.

Secondo il Le Blanc invece, questo secondo patriziato era dall’altro diverso, perchè solamente dal 774 usò ne’ suoi atti di tal titolo, però ciò dall’uso di diritti potrebbe provarsi, e questo non trovasi.

Per provare che Roma durante questo patriziato gli fu soggetta, adduce l’autorità di Paolo diacono cui fa dire che i Romani gli si sottomisero, e soggiunge che non potevano farne a meno, appartenendogli già per diritto di conquista, chè quando non li avesse soccorsi contro i Longobardi sarebbero immancabilmente sotto essi caduti, indi rapporta ciò che dice il Sigonio, cioè che allora essendo venuto a Roma fu dai principali della città decretato che fosse patrizio loro.

Primieramente non trovo negli scritti di Paolo ciò che gli fa dire; in secondo luogo non trovo che mai abbia conquistato i Romani, ed è ridicola la causa che dà per prova; infine la citazione del Sigonio autore del secolo xvi, che non prova punto quanto narra, a nulla vale.

Nemmeno vale la citazione della cronica d’Angoulemme, che i Romani elessero Carlo sibi advocatum S. Petri contra Reges Longobardorum, deinde