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TERZO. 43


XXIX.


Signori miei, se di parola manco,
     Non resti alcun di voi scandalizzato,
     La penna che volea mostrarvi in banco
     Ha il servo mio nell’osteria lasciato;
     Ma ringraziato il ciel, che non è stanco
     Di consolarvi, perchè quì ha portato
     In vece della Penna che gli ho chiesto,
     Un sasso di San Stefano, che è questo.

XXX.


Volendo premiare il mio valore
     Il Duca di Sassonia, a me lo diede,
     Quando gli liberai dal gran dolore
     Della podagra il travagliato piede:
     Mirate pur che di sanguigno umore
     Del Santo esser macchiato ancor si vede:
     Or sì bella reliquia oggi adorate
     Acciò vi scampi il Ciel dalle sassate.

XXXI.


Vi liberi dal pizzico dell’orso,
     Nè vi lasci provar del lupo il danno,
     Vi scampi ancor dal bacio del can corso,
     E delle volpe dall’astuto inganno,
     Da terremoto, peste, e crudo morso,
     Dalla fame, da guerra, e da ogni affanno,
     Da rottura di collo, membri, ed ossa,
     E dal malanno che venir vi possa.