Pagina:Moore - Il profeta velato, Torino, 1838.djvu/111

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Non più creder ben può che la celeste
510Iride il piede a’ suoi trastulli assenta,
Ma la fede, oh! la fè cieca, che forte
Una cara menzogna abbia sposata,
Abbracciata la tiene eternamente.
     E bene all’empio fingitor palesi
515Erano tutte le lusinghe ed arti
Che ad avvincere i cori unqua insegnato
Satàno avesse, nè fra questi estremi
Di sua trama istromenti incontro all’alme
Di Zelica obblïossi il nequitoso.
520Sventurata Zelica! Oh in te sopita
Stata non fossa la ragion fra tanto
Orror di colpe e di spaventi, mai
Mai non l’avrebbe sostenuto il core!
Chè in tuo scampo sarìa morte venuta
525E seco a un tempo il tuo spirito lasso
Rapito avrebbe; ma nol volle il fato.
Da quell’orrida notte, in cui lasciaro
E di pace e di ciel tutte speranze
Della misera il petto, un rio torpore,
530Una morte de’ sensi, un languor grave
L’occupò, la ricinse; e abbenchè un breve
Raggio talor le colorasse il viso
D’un vivido pensier, come vediamo