Pagina:Moore - Il profeta velato, Torino, 1838.djvu/28

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Quell’unico perduto ente compagno
385Per cui soave si tenea la vita
Ed amaro il morir, come liuto
Che nota più non sospirò dal giorno
In cui spezzossi la maggior sua corda.
     Preda così d’un indomato affanno
390Quell’infelice vergine rimase,
E in tanta piena di dolor la stessa
Ragione si smarrì. Benchè lo spirto
Vigoroso lottasse incontro al fato
E le guancie di lei rosea salute
395Tornasse ad infiorar, pur la catena
De’ suoi pensieri inordinata e guasta
Non più si ricompose; ardente e gaio,
Quale a’ più lieti dì di giovinezza,
Era il suo cor, ma travïato, errante
400Siccome navicella a cui dan luce
Tutti gli astri del ciel, tranne quell’uno
Che guidarla dovrìa. Di nuovo, è vero,
Il riso a lei disfavillò sul labbro,
Ma strano era quel riso e senza il lume
405Della gioia sincera; e quando il canto
Al flebile lïuto ella sposava,
Il suo cantar simìle era alle note
Che liete scioglie e dolorose a un tempo