Pagina:Morandi - Origine della lingua italiana.djvu/16

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4 origine

chiamarla, non foss’altro, perchè non si saprebbe chiamare diversamente.

Eppure, io trovo che la prima parola di codesto libro è un conciossiacosachè, parola che di certo non fu mai usata parlando; e trovo che il cavalier Lionardo Salviati, volendo fare il maggiore degli elogi al medesimo libro, dice che in esso, “cosa che appena par da credere, l’Autore la moderna legatura delle parole, ed il moderno suono, mentre continuo l’aveva nell’orecchie, si potette dimenticare.„ 1

Quindi, accanto a quella usata dal Casa, e da essa più o meno diversa per vocaboli e per costrutti, c’era un’altra lingua italiana, cioè la parlata. Di quale, dunque, di queste due lingue dovrò io raccontare l’origine?

Della parlata, soprattutto, — mi par di sentirmi rispondere. E sta bene.

Ma, parlata, dove? È chiaro che la lingua parlata, a cui il Salviati contrappone la scritta del Casa, è la fiorentina, o tutt’al più la toscana. Ma perchè dovrei io restringermi a discorrere della sola parlata fiorentina o toscana, se quelle di Torino, di Venezia, di Genova, di Bologna, di Roma, di Napoli, di Palermo, e via dicendo, hanno tutte in fondo la medesima origine? Non sarebbe questo un piantar male la questione, di maniera che tutto il ragionamento ne rimarrebbe poi, più o meno, viziato?

  1. Salviati, Degli avvertimenti della lingua sopra il Decamerone; Venezia, 1584; vol. I, lib. II, pag. 94.