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Pagina:Morbosità Emma Arnaud.pdf/34

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— Non mi avete perdonato, Diana?

— Sì, sì, rispose la contessa impacciata, colla voce tremante.

— Ebbene, prendete la violetta.

Diana la lasciò cadere a terra, Attilio vi passò sopra schiacciandola col piede.

— Grazie, mormorò a denti stretti.

— Buona notte, duca, disse Diana forte, cacciandosi nella vettura senza dargli la mano, paurosa d’abbandonargliela per troppo tempo di tradirsi col tremito che la scuoteva, felice di trovarsi in un cantuccio sola, al buio, di tuffare la faccia in quelle violette brune che odoravano forte, di assaporare la sua ebbrezza che traboccava. Si sentiva un’ondata di giovinezza ardente nel sangue, guardava vagamente dallo sportello i fanali che si rincorrevano, e mandava baci di riconoscenza all’aria, alla luna che brillava pallida e cheta, a quei grandi palazzi neri, alti, enormi, a tutta Firenze gentile che ospitava la sua vita, il suo sogno, il suo lembo di cielo!