Pagina:Morselli - Carlo Darwin, Milano-Torino 1882.djvu/50

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mulatore di concetti generali; nel Darwin lo scienziato e il paziente analizzatore dei fatti speciali.

Il Darwin non si gettò mai nelle speculazioni, e pur avendo fornito all’evoluzionismo la prova positiva tanto desiderata colla sua elezione naturale, egli rimase, nota giustamente il Brunetière, del tutto estraneo alla formazione del monismo filosofico, cui invece portarono cotanto tributo le opere dei suoi discepoli ed ammiratori, specialmente tedeschi. Il confronto delle opere del Darwin con quelle dell’Haeckel sarebbe assai istruttivo, ma non è qui luogo di farlo; mi basti averlo indicato. Checchè ne dicano alcuni, i quali delle opere del Darwin non videro più in là del titolo, non v’ha in esse un solo concetto metafisico o tale da potere sfuggire al saggio delle prove di fatto: o per ripugnanza naturale, o per ponderazione cosciente il Darwin non volle oltrepassare mai i limiti della scienza pura di osservazione. Invero per comprendere la vittoria dell’evoluzionismo convien considerare che il metodo introdottovi dall’insigne naturalista inglese è quello stesso che Bacone e Cartesio vollero iniziare nella filosofia, e che Galileo Galilei adoperò nella scoperta delle leggi fisiche. Osservare i fatti quali ci si offrono spontaneamente dalla natura (osservazione) o provocandoli ad arte (esperimento): annotare e riunire quelli che hanno fra loro più stretta analogia: spogliarli di quanto essi hanno di accessorio, per trovare, quasi direi, il nucleo centrale dei fenomeni: indurre da questo esame una formula generale, che tutti li comprenda e che diverrà la «legge» di quel dato gruppo di fatti: infine da leggi sempre più comprensive ascendere alle leggi generali; tale è il procedimento naturale dello spirito moderno e tale fu quello di Carlo Darwin. La copia dei fatti che egli raccolse durante i quarantatre anni della sua esistenza solitaria è veramente prodigiosa: e nei suoi scritti ciò che colpisce di più è la moltitudine degli esempi, la ricchezza e varietà delle prove.

Quando si è letto un capitolo del Darwin si resta meravigliati che il principio generale, cui egli arriva per induzione in mezzo a tanti fatti, sia passato inosservato non solo agli altri naturalisti, ma a noi stessi, tanta è la naturalezza e per così dire logicità delle conclusioni, una volta accettate quelle premesse. Ora, le premesse presentando sempre una saldezza incomparabile in quanto al numero ed alla perfezione delle prove addottevi, ne viene che il lettore è indotto a concludere quasi automaticamente,