Pagina:Morselli - L'uccisione pietosa (L'eutanasia), Torino, Bocca, 1928.djvu/19

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del povero topo afferrato dal gatto, il quale vi si trastulla con crudeltà raffinata? D’altronde, la tesi del dolore umano nella morte non è risolta dalle osservazioni sulla fine degli animali. A prescindere dall’istinto di conservazione che rende paurosi e tremanti tutti i viventi davanti al pericolo di dover rinunziare alla vita, c’è in più nell’Uomo un enorme cumulo di impressioni, di idee, di ricordi, di emozioni che il fatto “morte„ ha immesso nella sua coscienza. Perciò chi muore — ecco il problema, — potrebbe pur sempre provare dolore in due maniere: nella fisica o, meglio, fisiologica, che consisterà nel passaggio dell’organismo da uno stato di vitalità ad uno di perpetua inerzia, con annullamento di tutti i suoi poteri; e nella psichica, che sarà formata per l’appunto dalla “coscienza di morire„.

Anni fa anche questo argomento, sotto il titolo dell’“io dei moribondi„ fu lungamente discusso in Francia tra filosofi e medici. Si ricavarono conclusioni a parer mio abbastanza dubbie, dalle dichiarazioni di individui scampati all’annegamento, all’impiccagione, allo strangolamento, o precipitati in gite alpinistiche, ecc.; ma si calcò sopratutto sui fatti puramente psicologici autoosservati in quei frangenti, ad es., la rapidità estrema del pensiero (del tutto illusoria, essendovi, come si sa, un tempo ben determinato dalla Psicometria per tutte le operazioni mentali) e la riapparizione in sintesi di tutta la vita pas-