Pagina:Morselli - L'uccisione pietosa (L'eutanasia), Torino, Bocca, 1928.djvu/232

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tali da far sorgere in parecchi medici-chirurghi militari l’irresistibile idea di por termine a tanto orrore e a tanti tormenti — idea subito repressa dal sentimento del proprio dovere scientifico e dal pensiero della propria responsabilità in caso di errore di prognostico per soverchio pessimismo — e chi scorge oggi i gloriosi nostri mutilati, rassegnati alla loro sorte non maledire di certo a coloro che li hanno fatti sopravvivere in condizioni spesso miserabili, può ben concepire tutta l’acutezza affannosa del dubbio dal quale, sia lungo le linee ferroviarie, sia negli opifici industriali, sia sui campi di battaglia, l’eutanatista il più fervido, ma saggio e prudente, si sentirà sempre oppresso e il più delle volte arrestato nella traduzione in atto del suo stesso impulso umanitario.

E ancora più irta di difficoltà appare la pratica della Eutanasia medica nei casi molto meno tragici dei precedenti, quando si tratta di malattia dimostratasi inguaribile ed incurabile dopo un più o men lungo decorso, e quando il paziente domandi la sua liberazione. Vi è infatti dell’altro da dire sul valore psicologico di questo “consenso„ dal punto di vista della responsabilità medica. Il desiderio di morte per dolori atroci potrebbe dileguarsi davanti alla morte stessa; come procedere allora a salvare chi si pentisse all’ultimo momento di averla domandata ed autorizzata? È come quando si salva dal tentativo di suicidio una persona che si è buttata