Pagina:Mozzoni - Del voto politico delle donne, Venezia, Visentini, 1877.djvu/19

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legge è generalmente più felice. La donna maritata è incapace, epperò pupilla a tutte le età, la non maritata è maggiore a ventun’anni. La vedovanza disimbecillisce issofatto la donna quand’anche giovine e può quindi esercitare la patria podestà, la moglie anche a 60 anni non può neppure prestare il suo denaro col minor presumibile giudizio. Zia germana e nubile, si cava dall’amena compagnia dei pazzi, dei malfattori e degli imbecilli, epperò è capace di assumere la tutela dei nipoti; madre e moglie, per la solita imbecillità che le porge fra i doni nuziali il glorioso sposo, non ha voto negli interessi dei suoi figli, e via dicendo. Insomma si direbbe che il legislatore determinando le condizioni giuridiche della donna non s’è neppure informato se sia carne o pesce, ma l’ha pigliata indifferentemente per l’una cosa o per l’altra, secondo che tornava in acconcio agli interessi dell’uomo col quale la vedeva in rapporti.

Se poi aggiungete che delinquente, la si avviluppa in una veste giuridica lunga e larga quanto quella degli altri cittadini e le si scatena contro l’uggiosa eloquenza del procuratore della legge accanito a provare la sua capacità come il codice civile a decretare la sua incapacità, ed in questa forma impossibile la si pone davanti ad un tribunale composto di enti diversi da lei e che però non esito a dichiarare incompetenti1, avrete quasi completato il quadro delle condizioni nelle quali versano le cittadine della libera Italia.

E ho detto quasi, e non a caso, poichè se rivolgo lo sguardo a quella massa che, vittime di incomportabili sofismi sociali, deve vivere di vizî che non sempre avrebbe e di passioni che non divide, allora poi il cuore si solleva e l’ironia

  1. Hanno essi mai pensato i legislatori che per noi il giurì non esiste, e che un certo spirito di sesso, che ha qualche analogia con lo spirito di corpo, rende in molti casi niente affatto rassicurante il giurì maschile nel giudizio dei reati femminili?