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il mio diario di guerra 29

ufficiali e soldati regna la più cordiale camaraderie.

La vita di rischi continui lega le anime. Più che superiori, gli ufficiali mi appaiono come fratelli. È bello! Tutto il formalismo disciplinare della caserma è abolito. Anche l’uniforme è quasi abolita. Proibito — anche nei ripari — di portare il berretto fez. Abolito il pennacchio tradizionale al cappello. Caschi di lana, invece, che i soldati fregiano esteticamente di una stelletta. Si può parlare con un ufficiale, senza bisogno di impalarsi sull’attenti. E’ difficile, in montagna, star sull’attenti...

Con questi ufficiali, coloro che parlano di un rafforzamento del militarismo, con la inevitabile vittoria italiana, si divertono a inseguire dei fantasmi. Il militarismo «made in Germany» non ha attecchito in Italia. D’altronde questa guerra, fatta dai popoli e non dagli eserciti di caserma, segna la fine del militarismo di casta o professionale.

L’enorme maggioranza degli ufficiali italiani è venuta, con la mobilitazione, dalla vita civile. Tutta l’ufficialità dei subalterni è formata di tenenti e sottotenenti di complemento che si battono e muoiono da prodi.

Alcuni ufficiali mi vogliono conoscere. Ecco il sottotenente Lohengrin Giraud. Giovane e valoroso. Proposto per la medaglia d’argento al valor militare.

— Ho un nome tedesco, o piuttosto wagneriano — mi dice — ma detesto i tedeschi.

Mi narra. L’11 settembre, la 3a compagnia ebbe l’ordine di attaccare il cocuzzolo dell’Vrsig, di con-