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il mio diario di guerra 105

alcune tavole in una specie di cuccetta alta un metro da terra. Sotto di lui, a terra, dorme il suo aiutante, il sottotenente milanese Olinto Fanti, mio buon amico.

Da un altro lato dell’angusta baracca che serve anche da «posto di medicazione» degli alpini, dormono i tenenti medici Gargiulo e Congiu. Il primo meridionale, l’ultimo sardo. C’è anche Don Giovanni, cappellano degli alpini, un pezzo d’uomo dall’aria assai mite.

A proposito: la medaglieria religiosa è in diminuzione. Nei primi tempi era un imperversare di immagini sacre. I soldati ne portavano al collo, al polso, sul berretto, nelle dita a foggia di anello. Tutto ciò va cadendo in disuso. La tragica esperienza delle prime linee ha insegnato che un amuleto vale l’altro, che il cornetto vale una medaglia; e un gobbo d’avorio un Sant’Antonio. L’ultima trovata in materia di «scongiuri» è quella di toccarsi le stellette (forse per analogia collo «stellone? ») o di portare questa cabalistica epigrafe:

B I P Zl R 16
C ch. Zl P. S. S.

Migliaia di soldati l’hanno ricevuta passando per i paesi della vallata del Natisone.

Sono incapace di decifrarla.