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sono di strano contrasto con tanto bianco. Ma sono stupendamente sereni.

All’uscita, mi intrattengo con i dottori Scipioni e Calvini.

Le condizioni di Mussolini — essi mi dicono — non sono gravi. Non sono neppure così lievi come qualcuno ha raccontato. Tutt’altro. Egli ha molte ferite trapassanti e a fondo cieco, negli arti inferiori. Una di esse, alla coscia destra, è vasta circa dieci centimetri. Altre ferite interessano il capo, la spalla destra (la clavicola è rotta) e, più grandemente, la mano destra, nella quale si riscontra la lesione del carpo. Le schegge trovate sul suo corpo, in seguito ad esami radiografici, sommano a circa quaranta. Sono state estratte quasi tutte in due successivi tempi (operazioni). La febbre alta che lo ha preso non deve preoccupare. Essa è dovuta ai processi infiammatori della ferita alla gamba, ove profilasi il pericolo di un flemmone. Scemerà. In ogni modo, salvo ogni complicazione, Mussolini ne avrà per almeno una cinquantina di giorni. Se scompare la febbre, potrà lasciare questo Ospedaletto tra circa una settimana. —

Ho raccolto queste notizie per gli amici. Mi sono congedato con l’anima triste e sollevata insieme.

A notte alta — splende la luna e tuona il cannone — butto giù queste note affrettate. Fa freddo.

La mattina del 2 aprile Benito Mussolini, accom-