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il mio diario di guerra 19


Io che mi trovo in testa alla colonna ripeto il grido, ed ecco quattrocento voci gridare in coro:

— Viva l’Italia! —

Giungiamo dopo una marcia faticosa a Robich, primo villaggio ex austriaco. A Robich, tappa di alcune ore. Ci precipitiamo nell’unica osteria. Noto un bambino di sei o sette anni che si afferra al braccio di una pompa e ci serve di acqua. Gli domando:

— Come ti chiami?

— Stanko.

— E poi? —

Il bambino non capisce e non risponde. Lo domando a una ragazza che attraversa il cortile.

— Si chiama Robancich. —

Nome prettamente slavo.

Nel prato, poco lungi, un caporale, il milanese Bascialla, fa circolo. Ha ritagliata e l’ha conservata nel portafoglio una cartina della zona di guerra. Col dito teso, egli indica il famoso e misterioso Monte Nero.

Iscrizione trovata, due chilometri prima di Caporetto, su di una cappella votiva al ciglio della strada:

Nikdar Noben se ni Bil zapuscen

Kiv vartvo Marjis Bil izzogen.

Caporetto. Non ho visto che un campanile bianco con una guglia grigio-verde, sottile. Una moltitudine di soldati si affolla attorno a noi per cercare i compaesani. Ci accampiamo poco lungi dall’Isonzo, sulla nuda terra. Miei compagni di