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il mio diario di guerra 33

io lo accompagni ai posto di medicazione. Lo portiamo in barella, io e il portaferiti Greco. Il Morani è calmo, tranquillo. Non un grido, non un gemito. Contegno da vero soldato. Il tenente medico gli fa una prima sommaria medicazione e mi assicura che le ferite non sono gravissime. Ci abbracciamo. Il Morani è portato via in barella, io torno al mio posto. Giunge un ordine scritto:

— Il bersagliere Mussolini deve presentarsi, armato, al Comando del Reggimento! —

Zaino in spalla. Un’ora di marcia. La sede del Comando è in una modesta e rozza baracca di legno.

— Prima di tutto — mi dice il colonnello — ho il piacere di stringervi la mano e sono lieto di avervi nel mio Reggimento; poi, avrei un incarico da affidarvi. Voi dovreste rimanere con me. Siete sempre in prima linea, esposto, anche, al fuoco dell’artiglieria. Dovreste sollevare il tenente Palazzeschi di una parte del suo lavoro amministrativo e dovreste scrivere, nelle ore di sosta, la storia del Reggimento, durante questa guerra. E’ una proposta quella che vi faccio, beninteso; non un ordine! —

Il colonnello Giuseppe Barbieri è un romagnolo, di Ravenna. Ha infatti la «linea» del romagnolo.

Gli rispondo:

— Preferisco rimanere coi miei compagni in trincea...

— E allora non se ne parla più. Accettate un bicchiere di vino. —