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il mio diario di guerra 61

passa sopra le nostre teste. Io e Petrella siamo immobili, a terra. Il minuto d’attesa ci è parso lunghissimo. Il proiettile è scoppiato a meno di tre metri dal punto in cui ci troviamo. Con la sola corrente d’aria ha scoperchiato tutto il nostro riparo. Detonazione formidabile. Grandinare di schegge enormi e di sassi. Un albero è stato sradicato. Alcuni macigni frantumati. Ci troviamo letteralmente coperti dalla testa ai piedi di terriccio, sassi e ramaglie.

— Sei vivo?

— Vivo! —

La cinghia del mio fucile è stata tagliata nettamente da una scheggia. Gavetta e tascapane sono crivellati di proiettili. Il fucile di Petrella ha la cassa spezzata. Tutti gli alberi vicini presentano la corteccia lacerata.

Noi siamo miracolosamente incolumi.

Passa di corsa da un riparo all’altro l’attendente del maggiore Cassola, il milanese podista Terzi, il quale grida:

— Bersaglieri del 33°! Ordine del maggiore, ritirarsi armati sotto al costone!

— Obbediamo. Tutto il battaglione è, ora, riunito sotto una roccia al riparo dei colpi del 280. Passo dinanzi al comando del battaglione. C’è il maggiore, il capitano Mozzoni, il capitano Vestrini. Ho la faccia nera di terriccio.

— Che cosa ti succede, Mussolini? — mi domandano.

L’ultimo 280 mi è scoppiato vicino.

— L’hai scampata bella... —