Pagina:Naufraghi in porto.djvu/105

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Il re di picche sospirò. — Ahimè! i suoi nemici — egli diceva, — scovavano sempre nuove arti diaboliche per tenerlo dentro. Non sperava più nella grazia, ma ad ogni modo il tempo della liberazione s’avvicinava. Allora egli sarebbe andato dal re, per raccontargli come stavano le cose. Il re ordinerebbe subito la revisione del processo; e lui, riconosciuto innocente, riavrebbe subito il suo posto e il suo grado.

Quindi prometteva a tutti, e specialmente a Costantino, di farli graziare.

— E va bene! — concludeva, approvandosi da sè. A furia di far promesse finiva col credere di doverle mantenere.

— Domani! Magari! Sarebbe un bene per tutti.

— Bene o male! — rispose Costantino.

— D’altronde, quando io sarò fuori, tu forse non avrai più bisogno di me.

Subito si pentì di queste parole, ma vide Costantino scuotere il capo dubbioso, pensò: — forse egli crede che io alluda alla grazia, — e lo guardò con sincera compassione.

— Ma tu sei innocente, tu sei veramente innocente? — gli domandò. — Oramai puoi dirmi tutto, amico caro. Ricordati che quando te lo chiesi la prima volta tu mi dicesti: ch’io non possa riveder mio figlio se sono colpevole!

— Questo è vero! Ed ora lei vuol dire che forse non rivedrò mio figlio? Sia fatta la volontà di Dio, ma io sono innocente.