Pagina:Naufraghi in porto.djvu/247

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raglio illuminato si vedeva il naso di Mattea ed uno dei suoi occhi ridiventati stupidi.

— Che vuoi, capra guercia?

— Se tu vai da lei è inutile farmi aspettare qui.

— Al diavolo chi ti ha fatto! — imprecò Costantino con voce sincera. — Io penso d’andar da lei quanto tu pensi d’andare in chiesa.

Quando rientrò, pochi minuti dopo, non trovò più la strana ragazza. Credette si fosse nascosta e la cercò, chiamandola a bassa voce, dicendole che aveva comprato del pane e carne e frutta: ma ella se n’era andata davvero. Un gran silenzio regnava intorno alla casetta: solo le foglie del fico frusciavano misteriosamente, nere sullo sfondo incolore dell’aria: parevano di stoffa metallica, scosse da una mano invisibile.

Costantino si sentì molto contrariato per la sparizione di Mattea. Solo come un cane, che poteva fare per il resto della sera? Non aveva sonno, tanto più che nel pomeriggio aveva lungamente dormito; e non sapeva dove andare.

Si mise a mangiare ed a bere, e di tanto in tanto parlava con voce alta e dispettosa.

— Se ella crede che io vada da lei sta fresca.

Silenzio. Poi:

— Fresca come una rosa in primavera. È pazza, lei!

Ancora silenzio. Poi:

— Nè dall’una nè dall’altra. Mi fa schifo Mattea. Mi dà l’idea di una bestia. Ecco tutto.

Deledda. Naufraghi in porto. 16