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Pagina:Naufraghi in porto.djvu/26

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recarsi alla Corte. Il sole inondava il cortile; sui pampini lucenti del pergolato, dal quale pendevano lunghi grappoli d’uva acerba che parevano di marmo verde, le rondini cantavano guardando il sole, e zio Efes Maria, montato sul suo cavallo baio, si disponeva a partire per la campagna. Che luce e che festa in quel cortile, cinto soltanto di un piccolo muro di pietre, e dal quale si godeva un vasto orizzonte! I bambini mangiavano la loro pappa seduti sul limitare della porta di cucina; Grazia era andata a mangiar la sua in un cantuccio, forse per non essere veduta dallo zio studente, mentre lui, in maniche di camicia, in piedi in mezzo al cortile, divorava una grande scodella di zuppa.

E zia Porredda gli lustrava le scarpe, tutta meravigliata per le cose che egli le raccontava.

— Come è grande San Pietro? Ebbene, è grande quanto una tanca. Non si può neppure pregare. Come si può pregare in una tanca?. Gli angeli sono grandi come quella porta, gli angeli più piccoli, quelli che sostengono la pila dell’acqua santa.

— Ah, allora bisogna metter la scala, per prender l’acqua santa.

— No, perchè essi sono inginocchiati, mi pare. Datemi un altro po’ di caffè-latte, mamma. Ce n’è?

— Sicuro che ce n’è. Sei tornato ben affamato, piccolo Paolo mio: sembri un pesce-cane.

— Ah, sapete! Ho veduto i delfini, in mare. Oh, ecco le ospiti. Buon giorno.