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Pagina:Naufraghi in porto.djvu/46

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— Se essa paga, non devi giudicare le sue azioni, — disse una voce sonora.

— Ah, siete lì, zio Isidoro, — disse Giacobbe con voce di scherzo sprezzante. — Ebbene, come vanno i vostri affari? Son ben punte le vostre gambe?

Isidoro si guardò le gambe avvolte di stracci, (egli le immergeva nell’acqua stagnante, le sanguisughe vi si attaccavano, e così egli le pescava), poi rispose con dolcezza:

— Questo non deve importarti. Ma non sta bene che tu imprechi la donna della quale mangerai il pane.

— Io mangerò il mio pane, non il suo. Ma questi sono affari nostri. Ebbene, Giovanna, coraggio, che diavolo! Ricordi la storiella che ti ho raccontato mentre tornavamo da Nuoro? Sii savia, via, per questo marmocchio. No, Costantino in reclusione non muore, te lo dico io. Dammi il bambino.

E si chinò, ma visto che il bambino dormiva, si sollevò e mise un dito sulle labbra.

— Zia Bachisia, — disse (egli dava del voi e dello zio anche ai più giovani di lui), — fatemi il piacere, mandate a letto vostra figlia. Essa non ne può più. Brava gente, — disse poi agli astanti, — facciamo una cosa, andiamocene.

A poco a poco tutti se ne andarono. Allora zia Bachisia prese lo sgabello dove si era seduto Isidoro Pane, lo portò fuori e lo pulì: poi rientrò e dovette scuoter Giovanna, caduta in una specie di sonno, per farla andare a letto. La giovane