Pagina:Naufraghi in porto.djvu/51

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— Ah, tu sei ancora un bimbo! Perchè sprecare? La vita è lunga, e per vivere ce ne vuole!

— E quelle due donne, come faranno? — domandò Brontu, dopo un momento di silenzio, sedendosi davanti ad un canestro dove zia Martina aveva deposto il pane e le uova.

— Ebbene, andranno a cercar chiocciole! — rispose zia Martina con ironia. Aveva ripreso il fuso e filava accanto alla porta aperta.

— T’interessano assai, quelle donne, Brontu Dejas!

Silenzio. S’udiva il rotolìo del fuso e il suono dei forti denti di Brontu che masticavano il pane duro: e fuori, di là dal portico, il zirlare dei grilli, e più in là, nella solitudine delle macchie, nella calda oscurità della sera, il grido melanconico della civetta.

Brontu prese un bicchiere e lo colmò di vino: e aprì la bocca, ma non per bere. Voleva dire una cosa a sua madre, ma non potè. Bevette: alcune goccie rimasero sulla sua barbetta rossa, ed egli le asciugò col dorso della mano, abbassando gli occhi e aprendo ancora le labbra per dire quella cosa. E neppure questa volta potè dirla.

Ed ecco un suono di scarponi nello spiazzo. Zia Martina, sempre filando, s’avvicinò al figlio, disse che veniva Giacobbe Dejas, prese il canestro ed il vino e li ripose nell’armadio.

Entrando, Giacobbe s’accorse dell’atto della vecchia e pensò che ella nascondesse il vino per non offrirgliene un bicchiere; ma era troppo