Pagina:Neera - Addio, Firenze, Paggi, 1897.djvu/122

Da Wikisource.
108 addio!


sul suo capezzale, lo vedevo impallidirmi davanti.

Colle mani strette nelle sue io rifacevo il passato e m’illudevo di essere, come nei primi tempi del mio matrimonio, la sposa intemerata, l’angelo tranquillo del nostro focolare, dove amore accendeva non la più viva, ma la più soave delle sue faci.

Che cosa non avrei pagato per riacquistare la pace della mia coscienza irremissibillmente perduta!

Ecco — pensavo — quest’uomo crede doverti essere riconoscente per quei pochi servigi che tu gli presti; crede di doverti amare, di doverti benedire perchè vegli le notti per lui e lenisci colle tue cure i suoi dolori — ma egli non sa che tu usurpi una missione sublime, che osi vestire l’abito della carità, tu, perduta!

· · · · · · · · · · · · · · ·

Qualche volta il delirio mi faceva uscire in parole sconnesse, forsennate; Attilio che le attribuiva alla debolezza di eccessive fatiche mi cingeva amorosamente con le sue braccia, mi obbligava a posare la testa sul