Pagina:Neera - Iride, Milano, Baldini, 1905.djvu/172

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poggiare la mano sul davanzale esterno gettò un piccolo grido di sorpresa e di sgomento — la sua rosa era là.

Quello che provò Clelia non si può dire.

Meraviglia, ebbrezza, paura; un senso vago di sgomento, uno di profonda gioia come quando si trova nella realtà la conferma di sogni lungamente accarezzati.

Il primo impulso riflessivo fu di correre in cerca del fratello, poi si fermò, vinta dalle seduzioni del mistero; felice di averne uno da custodire.

Che cosa avrebbe detto Daniele? Che quella non era la rosa perduta; che lei stessa ve l’avrà dimenticata la sera prima; che i bimbi dell’ortolano la gettarono lassù; che i banditi non si occupano di raccogliere fiori e molto meno di renderli — insomma una quantità di ragioni brutte, prosaiche, logiche che Clelia non voleva ascoltare, perchè Clelia era un po’ romanzesca e adorava le cose fantastiche.

Tenne dunque la scoperta per sè — la rosa anche — restando per lungo tempo alla finestra, coll’occhio fisso sulla vecchia Abbazia e col pensiero perduto in una miriade di sogni teneri e mesti.

Più tardi prese il lavoro, ma non lavorò; più tardi ancora sedette al desco, ma non pranzò. A