Pagina:Neera - Iride, Milano, Baldini, 1905.djvu/91

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gazzina; avevo finito l’epoca dei giuochi e delle carezze, contavo diciassette anni. Il babbo mi guardava pensieroso nei brevi istanti che i piccini lo lasciavono libero: Aurora aveva assunto a mio riguardo un’indulgenza molle, un po’ indifferente, mista di superiorità e di dolcezza. I nostri rapporti erano tranquilli, corretti e freddi.

Davanti alle persone mi dava volentieri il titolo di figlia; sapeva bene che questo non l’invecchiava punto — era sempre nello splendore massimo della bellezza, con tutte le grazie della fanciulla unite alle seduzioni profonde della donna e della madre. La ci aveva un garbo tutto suo a trascinarsi dietro, ella così giovane e vezzosa, una bighellona di figlia tanto lunga. Mi presentava seriamente, e poichè nessuno voleva crederle, affermava incalorandosi:

— Sì, sì, è proprio mia figlia.

Espansiva, amava i suoi figli fino al delirio, ma si frenava in mia presenza. La udii più volte, dietro l’uscio, scoccare i baci più lietamente amorosi sulle guancie paffute del suo ultimo nato, e appena io comparivo farsi languida e indifferente. Gli slanci che non mi poteva dare cercava bilanciarli con una giustizia rigorosa e con tutte le apparenze dell’eguaglianza.