Pagina:Neera - Iride, Milano, Baldini, 1905.djvu/93

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La spiavo nei menomi atti, nei cambiamenti rapidissimi della sua nobile fisionomia; vedevo quando, confrontandomi mentalmente coi suoi figli, un sorriso soddisfatto le irradiava le labbra. Una volta sgridò severamente il primogenito che mi aveva fatto non so quale dispetto, ma in quei rimproveri c’era maggiore tenerezza nascosta che in tutti gli elogi palesi tributati a me.

E chi potrebbe accusarla? C’è un dovere al mondo che obblighi una madre ad amare i figli degli altri come i suoi propri?

Aurora era generosa nella pietosa menzogna che si imponeva di mostrarsi egualmente amante e il suo cuore doveva soffrire quasi come il mio di quella continua finzione. Ella non poteva come le altre madri espandersi in tutte le forme di adorazione e di estasi che ispira quell’unico fra gli amori — l’occhio geloso della figliastra le numerava gli amplessi.

E però una volta colsi a volo queste parole ch’ella diceva a sua madre e che senza alcun dubbio si riferivano a me:

— Sì, è una noia: in certi momenti sopratutto la sua faccia straniera che non dice nulla al mio cuore mi pesa e mi opprime, ma che farci? È la mia piccola croce, conviene sopportarla con pazienza. Pensa poi che non ne ho altre.